Il cyberbullying (cyberbullismo), termine coniato dall’educatore canadese Bill Belsey e introdotto in abito internazionale negli anni 2000, viene definito come “un atto aggressivo e intenzionale compiuto da un individuo o da un gruppo di individui, usando mezzi di comunicazione elettronici, in modo ripetitivo e duraturo nel tempo, contro una vittima che non può facilmente difendersi.” (Smith et al, 2006).
Un fenomeno in allarmante crescita che riprende un problema più ampio e meglio conosciuto come bullismo. Quest’ultimo, è caratterizzata da azioni violente e intimidatorie esercitate da un bullo, o un gruppo di bulli, si una vittima tramite molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni, generalmente ambientate in ambito scolastico mentre la versione “cyber” indica l’utilizzo di informazioni elettroniche e dispositivi di comunicazione per molestare in qualche modo una persona o un gruppo.
La moderna tecnologia consente ai bulli di perseguitare le vittime con messaggi, immagini, video offensivi inviati tramite smartphone o pubblicati su siti web tramite internet. Si parla, quindi, di cyberbullismo quando si fa riferimento a un comportamento violento che avviene online.
La facilità di accesso a pc, smartphone e tablet, consente al cyberbullo di commettere atti di violenza fisica e/o psicologica, anche in anonimato, mediante social network, e di offendere la vittima mediante la diffusione di materiale denigratorio (testi, foto e immagini).
Un uso inappropriato della rete, quindi, realizzato fuori dal controllo degli adulti, con cui i ragazzi si scambiano contenuti violenti, denigratori, discriminatori, rivolti a coetanei considerati “diversi”.
Di fronte a una azione di cyberbullismo della quale si è vittime il comportamento di gran lunga prevalente risulta essere il “difendersi da soli” (60% dei maschi e 49% delle femmine), considerato che far emergere una “persecuzione” attraverso Internet costringe la vittima ad “aprire” ai genitori, o a un altro adulto, tutta la propria vita sui “social”.
La legge 29 maggio 2017, nº71, volta a prevenire il cyberbullismo in Italia, presenta il fenomeno in maniera dettagliata, riferendosi a «qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo».
Il Ministero dell’istruzione e il Ministero dell’università e della ricerca definiscono, invece, il cyberbullismo come «un insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici (sms, mms, foto, video, email, chat room, istant messaging, siti web, telefonate), il cui obiettivo è quello di provocare danni a un coetaneo incapace di difendersi».
Cyberbullismo: complice l’anonimato
Nella rete ci si può imbattere spesso in filmati di insulti, di professori umiliati anche con atti osceni, di portatori di handicap picchiati, di ragazze riprese in bagno. Materiale caricato da studenti che si divertono a prendere di mira per futili motivi: l’aspetto fisico, il presunto orientamento sessuale, le relazioni sentimentali, il modo di vestire e/o di pensare diverso dal branco.
Secondo una ricerca condotta da Save The Children tre ragazzi su dieci sono testimoni di comportamenti violenti in rete e il 72% degli adolescenti vede il cyberbullismo come il fenomeno sociale più pericoloso del momento. Le conseguenze sono gravissime: isolamento, rifiuto della scuola, depressione.
Oggi il 34% del bullismo è online, in chat, sui social network, complice anche l’anonimato e l’apparente sicurezza di potersi nascondere dietro allo schermo. La risonanza che ha il web è implacabile: le foto, i messaggi di chat o gli sms possono essere visti da tutti, marchiando e umiliando la vittima.
Caratteristiche del cyberbullismo
Il cyberbullismo possiede una serie di caratteristiche specifiche:
- pervasività: il cyberbullo è sempre presente sulle varie tecnologie usate
- anonimato: la volontarietà dell’aggressione
- ampiezza di portata: messaggi e materiali inviati sono trasmessi, ritrasmessi e amplificati oltre la cerchia dei conoscenti
Altro fenomeno tipico del cyberbullismo è la minimizzazione degli atti compiuti etichettati come “uno scherzo” e la diffusione della responsabilità riferendosi al fatto che “lo facevano tutti” oppure “ho solo condiviso un messaggio che mi era arrivato”.
Il caricare materiale in rete è un modo per amplificare la propria impresa, ottenere apprezzamenti da un pubblico più vasto e sentirsi leader. Altro aspetto importante, esso non si manifesta in contatto diretto, il bullo non è una presenza fisica ma un nickname e ciò favorisce la mancanza di visibilità.
Il cyberbullo, proprio per questo motivo, non riceve un feedback immediato dalla vittima, non può vedere quali danni può aver causato e a quali conseguenze può portare il suo gesto.
Il bullismo non riguarda solo ragazzi/ragazze delle superiori
Secondo i dati della Sorveglianza HBSC Italia 2018 e l’indagine Istat del 2019 “Indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo”, gli atti di bullismo subiti a scuola decrescono con l’età. Il bullismo riguarda entrambi i sessi anzi, le ragazze presentano una percentuale di vittimizzazione superiore rispetto ai ragazzi.
Strettamente correlato al bullismo è il fenomeno della violenza domestica: i minori esposti a episodi di violenza familiare sono più propensi a esercitare forme attive di bullismo o a esserne vittime.
Tipologie di cyberbullismo
Esistono svariate forme di questo fenomeno:
- Flaming: dall’inglese “flame” (fiamma). È caratterizzato dall’uso di messaggi violenti e volgari che si trovano spesso su forum, gruppi online e servono ad aizzare, provocare e umiliare i malcapitati.
- Impersonation: conosciuto come scambio di persona. È l’appropriarsi dell’identità virtuale di qualcuno per spedire messaggi, pubblicare post o realizzare altre azioni online al suo posto.
- Trickery: consiste nel cercare di ottenere la fiducia della vittima per poi attuare uno scherzo crudele.
- Cyberstalking: come lo stalking ma sul web, molestie ripetute e minacce vere e proprie per provocare paura. Anche in questo caso si parla di un’ossessione pericolosissima.
- Doxing: pubblicazione di informazioni riservate e potenzialmente imbarazzanti. Il termine viene usato in riferimento alla pubblicazione in rete di dati personali senza il consenso (indirizzo, numero di telefono, ecc…).
- Denigration: tramite messaggi o social network si denigra una persona al fine di provocare dolore gratuito e danneggiare la sua immagine pubblicamente.
- Cyberbashing: si verifica quando, durante un’aggressione, qualcuno riprende il tutto e lo carica su internet. Il video viene poi visualizzato da moltissime persone.
- Harassment: vere e proprie molestie via web, fino alle minacce di morte. È noto il caso di Blue Whale.
- Hate Speech: espressione utilizzato per far riferimento a comportamenti (soprattutto verbali) online che incitano alla violenza, all’odio e a un atteggiamento di discriminazione.
- Outing: termine ancora più specifico connesso alla pubblicazione di dati (foto, video, screenshot di messaggi) allo scopo di rendere pubblico l’orientamento sessuale di qualcuno, senza il suo consenso.
- Revenge Porn: espressione che fa riferimento alla pubblicazione di immagini, video o altro materiale sessualmente esplicito senza il consenso del soggetto.
- Body Shaming: pratica molto diffusa in rete che consiste nel giudicare il corpo di qualcuno, dalla taglia ai singoli difetti, causando vergogna nella vittima.
Quali reati comportano e cosa si rischia?
Le pene per i fatti di cyberbullismo sono differenziate a seconda delle condotte, andando da 6 mesi a 5 anni per un maggiorenne e 6 mesi per un minorenne (o 516 euro di ammenda). A questo si somma un eventuale risarcimento in sede civile.
Si parla di diffamazione (ex art. 595 cod. pen.) nelle ipotesi di Denigration, Flaming ed Impersonation. Flaming e Impersonation possono arrivare ad integrare il reato di minaccia di cui all’art. 612 cod. pen.
Il Trickery non costituisce reato di per sé ma può essere l’antefatto non punibile di altre condotte penalmente rilevanti. Il Cyberstalking rientra nell’ambito del reato di atti persecutori (ex art. 612 bis cod. pen.). Il Doxing è sanzionato dall’art. 167 del D.lgs. 196/2003, laddove vengano diffusi dati di un soggetto contro la sua volontà e con obiettivo il danno alla persona. Se la diffusione illecita avviene su larga scala sarà applicabile l’art. 167 bis del D.lgs. 196/2003.
Il Cyberbashing è un’ipotesi che può rientrare nelle percosse (ex art. 581 cod. pen.) o nelle lesioni (art. 582 cod. pen.), fino ad arrivare all’omicidio preterintenzionale (art. 584 cod. pen.). L’Harassment è un più problematico, ogni ipotesi è a sé stante e la condotta è molto ampia. Nelle casistiche più gravi, il reato può integrare l’istigazione al suicidio (art. 580 cod. pen.).
Cyberbullismo: rimozione dei contenuti e garante privacy
La legge del 2017 prevede che il minore vittima di cyberbullismo può richiedere al gestore del sito internet o del social media (o al titolare del trattamento) di oscurare, rimuovere o bloccare i contenuti diffusi in rete. Qualora non si provvedesse entro 48 ore, è possibile rivolgersi al Garante della privacy che interviene direttamente entro le successive 48 ore richiedendo un tempestivo intervento.
Il modulo per il Garante privacy è scaricabile da qui e deve essere inviato a: cyberbullismo@gpdp.it. Come spiegato da un referente del Garante al convegno organizzato sul tema da Assodata, il 24 ottobre 2019 a Firenze, sono circa 100 le richieste che arrivano ogni anno, di cui una trentina gravi.
Digital Service Act per Cyberbullismo
Il nuovo regolamento europeo in materia di servizi digitale (DSA) non affronta direttamente il tema del cyberbullismo ma prevede tutele generali, applicabili anche a questo fenomeno: garanzie efficaci per gli utenti compresa la possibilità di contestare decisioni di moderazione dei contenuti nelle piattaforme e misure di trasparenza per le piattaforme sugli algoritmi utilizzati che obbligano le piattaforme a rendere accessibili almeno i criteri con cui decidono di rendere visibile un determinato contenuto.
Dal 1° gennaio 2024 (data ultima in cui è prevista l’entrata in vigore del Digital Service Act), motori di ricerca e social network probabilmente si doteranno di autonomi mezzi di segnalazione degli utenti. Google, ad esempio, ha già una procedura abbastanza immediata per chiedere la deindicizzazione di contenuti violenti o sessualmente espliciti.
L’implementazione di tali strumenti potrebbe, finalmente, rendere la vita difficile ai cyberbulli.
Il cyberbullismo è ormai un fenomeno sociale paragonabile alla criminalità minorile. La giustizia penale, purtroppo, non sempre è efficace ed è pertanto necessario un’opera di sensibilizzazione dei minori a livello scolastico e familiare.
Parlare con genitori ed insegnanti è fondamentale per contrastare tale fenomeno. Da genitore, l’unico consiglio che mi sento di dare è quello di mantenere un dialogo aperto con i propri figli, senza invadere la loro privacy ma interessandosi a ciò che fanno, sia online che nel mondo reale.
A tal proposito, potrebbe tornare utile monitorare le attività dei minori online tramite l’uso di app e servizi di Parental Control. Alcuni di questi servizi per il controllo genitoriale permettono di monitorare le chiamate ed i messaggi ricevuti, visualizzare la cronologia web e persino gli spostamenti dei propri figli pertanto, se si sospettano episodi di bullismo o cyberbullismo, è importante valutare la possibilità di ricorrere a queste soluzioni.